IL SUO PENSIERO . LE SUE PASSEGGIATE FRA I DUE SANTUARI BERICI DURANTE LE SILENZIOSE E D AFOSE SERATE D’ESTATE

Trascorrevo le notti su quel pezzo di strada negli anni in cui la solitudine era ancora un piacere.

Il mio pensiero era la luna, splendente, rara, come non l’ho più vista dopo; balzavo, volavo con essa; candida quand’era in alto; o verdastra, rossastra, quando tramontava sul piano. 

Mi pareva allora di avere sotto di me gli spazi eterei, un baratro vorticoso che mi trascinava seco di là dall’orizzonte con quella faccia rilucente. Era un farnetico lunare che mi ritorna come in sogno.

Giungo adesso alla villa dove immaginai le mie Lettere di una novizia. Vi penetro con la scusa di vedere un mio vecchio concittadino. Sparito il bosco che saliva sulla pendice; invece dei chioschetti cinesi e turcheschi tra i pini, un pollaio nel prato calvo.

Una vita, di cui io conobbi gli avanzi, finisce di consumarsi nel tempo e si riconsegna all’eterno; ed io sono forse l’ultimo a renderne testimonianza. “

Nel grazioso giardino a terrazza della novizia crescono alla rinfusa i suoi fiori e le erbacce; strappate le ringhiere settecentesche; sradicato il ciliegio che si era abbarbicato tra pietra e pietra al muro di sostegno della terrazza, e riversava dentro le fronde e i fiori. 

Chi scrive? Non è il Molosso ma un suo educatore. Sono le stupende meravigliose parole estratte dai testi del Conte Guido Piovene , fin da ragazzo legato a Vicenza mentre è intento a percorrere il tratto di strada fa i due ex santuari pagani . Quello delle Madonna di Monte Berico e Quello dedicato a Giano in Arcugnano Anfiteatro

GUIDO POVENE         (DA STELLE FREDDE )

Qui come su “le Furie” dalla proprietà della zia Esilia, il Conte Guido Piovene guardando all”Anfiteatro di villa di Arcugnano Capoluogo, ci offre una veduta completa del colossale ex Santuario sull’ Anfiteatro Berico acquatico dei Veneti Antichi così come esso, dopo un ventennio è descritto nelle ventennale opera di analisi, ricerca e classificazione compiuta dal prof. Maurizio Tosi . Questa veduta la si può ancora vedere da li,, cioè da Castel Rambaldo – Clinica di VIlla Margherita .

Quando l’idea de fare mi pungeva di più, uscivo nel giardino e mi affacciavo alla ringhiera. Davanti a me avevo una piccola valle, poco profonda, che guardata da quella ringhiera pareva una conca interamente chiusa da una cerchia di colli.
La fascia del terreno sotto il giardino era quasi piana, a vigneto, con qualche albero di fico; poi veniva una siepe di robinie e noccioli; dietro di essa, il terreno cominciava a scendere in un declivio molto dolce, tanto che il fondo della conca, sebbene abbastanza lontano, era più basso solo di una ventina di metri.
Qui attaccava il pendio, invece ripido, dell’altura di fronte, più alta delle altre, selvatica e macchiata di rovi.

Altro non c’era, o non si vedeva di lì, tolto qualche cespuglio, qualche macigno e un viottolo che, partendo sotto la casa, si diramava poi da tutte le parti.

Sapevo che la conca non era chiusa, perché defluiva a sinistra in un varco tra i colli, acquitrinoso e coperto di canne, che sboccava nella pianura; ma il varco era nascosto da uno sperone,
e dal mio osservatorio vedevo soltanto il primo inizio del canneto.

Guardavo attentamente, esploravo ogni aspetto di quel piccolo Anfiteatro in cui avrei dovuto entrare[ durante il periodo Querini . Colonna il teatro sotto la villa era stato ristretto [. Il Gianicolo Veneto di Arcugnano Franco M. von Rosenfranz – qui Piovene sta guadando via di Giardini – ex giardini terrazzati delle Querini, allora ben visibili da Villa Montanari ] ma non mi decidevo a staccarmi dalla ringhiera per compiere il breve giro verso la gradinata che, al termine della terrazza, scendeva sotto e si prolungava nel viottolo su cui andavo su e giù soltanto con lo sguardo. Il luogo era come una pagina che avrei dovuto riempire di parole scritte e che mi incuteva spavento. Ero davanti alla facciata, su un giardino a terrazza, grande per essere a terrazza, e disegnato come un arco debolmente teso. La corda era la facciata rettilinea e lunga; il giardino, dall’altra parte, si affacciava alla valle disegnando una linea ovale.

Qui lo sosteneva un muretto, d’altezza che variava tra i due e i quattro metri secondo i diversi livelli del terreno che stava sotto.Avevo adocchiato di nuovo la cosa di cui andavo in cerca, la macchia bianca, ma non volli ancora fermarvi lo sguardo. Prima mi soffermai a esaminare gli accessori.Quando l’avevo vista per l’ultima volta, la terrazza era decorata d’aiole divise da piccoli viali ricoperti di ghiaia.Ora invece era un prato, su cui l’erba cresceva folta con i primi fiori selvatici: ne usciva qualche alberello, un tempo centro delle aiole distrutte.I pochi fiori coltivati superstiti facevano orlo alla facciata.Dal colle di faccia spuntò uno spicchio di sole; mi accorsi allora che era finito il silenzio.L’aria era piena dei rumori della campagna.Traversai finalmente il prato verso il punto a cui volevo andare; vi stava chi avevo deciso d’incontrare per primo. Qui non trovai cambiato nulla.Un albero di ciliegio aveva messo le radici nelle fenditure tra i sassi componenti il muretto che sosteneva la terrazza; sporgendosi dalla ringhiera, si vedeva sotto il suo tronco uscire dal muretto a due metri da terra, e poi arcuarsi in modo che, spingendosi in alto, si rovesciava in dentro.Quasi tutta la chioma era perciò sopra il giardino, anzi sembrava stendersi verso l’interno il più possibile, e mi faceva tetto sopra la testa. Notai che la ringhiera era un po’ fuori sesto, come tirata in giù, proprio nel tratto dove il tronco, salendo dall’esterno, le passava rasente. Guardai e vidi che il muro si era gonfiato intorno al punto da cui il tronco ne usciva. Qualche sasso si era staccato e giaceva per terra nel prato sottostante. Fatta questa breve ispezione mi ritirai d’un passo e rivolsi lo sguardo in su.I rami, esili e serrati, formavano una cupola, e i fiori bianchi erano così fitti da non lasciar vedere nemmeno un pezzetto di cielo. Non avevo mai visto niente di così numeroso, e nel primo momento quella ripetizione infinita di petali dello stesso colore bianco mi diede il capogiro. Dove si apriva un varco, l’occhio era subito fermato da un intreccio di petali sul piano successivo; un piano era sfondo dell’altro; da sotto, si poteva credere che quell’immensa fuga di alette bianche non terminasse mai. Il sole non filtrava e, per quanto vedevo, la fioritura stava in ombra, senza vibrazioni di raggi e tutta luminosa allo stesso grado. Stampava un’ombra netta sul prato: fuori del suo contorno, il prato risplendeva d’una luce calda: ma io mi trovavo chiuso sotto una campana di luce chiara, fredda e come irradiata da una sorgente artificiale. Eppure portava qualcosa di vigoroso e di eccitante più dello stesso giorno. Mi pareva di essere caduto in un mondo diverso da quello della casa, e forse lo ero davvero; ho sempre pensato possibile l’intrusione di un altro mondo in quello nostro abituale, e che possiamo scivolarvi da un momento all’altro.                                                                                                   Testo ripreso da  Maria-Luise Caputo-Mayr  .Elementi Presenti sul Santuario e il Ciliego nel mezzo del bacino. :https://www.jstor.org/stable/478351?seq=1#page_scan_tab_contents

I Cenni Biografici appartengono alla famiglia nobile dei Piovene, costituita dal conte Francesco e da Stefania di Valmarana, Guido nasce a Vicenza il 27 luglio del 1907,figlio unico,trascorse l‟infanzia tra la frivola eleganza, il distratto affetto di una madre giovanissima, e il profondo attaccamento ai nonni: in particolare al nonno paterno Guido, cattolico e rigoroso, e all‟estrosa nonna materna Netty Pasqualis, di origine greca. La famiglia Piovene risiede a Vicenza, ma il ragazzo trascorre molta parte dell‟anno nella villa Margherita dei Valmarana, presso la prozia Ersilia: questo ambiente e i suoi personaggi ricompariranno senza tregua nei suoi scritti futuri.  Villa Margherita è indicato come  Monte Giove) nella Toponomastica Antica .

Oltre alla testimonianza di Guido Piovene, qui alcune altre citazioni dell’Anfiteatro a terrazze di Arcugnano

Un altra descrizione dell’anfiteatro vestito con gli occhi di Piovene  è quella dell’accademico Prof. Renato Cevese.pag 302  Le ville della Provincia di Vicenza ., nell’ANFITEATRO  della collina che recinge la Fontega ,( la natura )…e si spinge di altura in altura…

Il  prof. Maurizio Tosi , uno dei 5  archeologi  più importanti del mondo, classificatore dell’ Anfiteatro Marittimo Berico e delle Vera  Casa di Giulietta,collega di Sebastiano Tusa di Archeologia Marittima, dopo una indagine in equipe durata 20 anni, lo  ha classificato  completamente nelle sua  storicità : Santuario dei Veneti Antichi anche esplorando il saggio  di Galileo Galilei compilato a Longare nel soggiorno presso la specola cara allo scienziato e dove lo scienziato in rotta che le vedute ecclesiastiche descrive perfettamente  questo  Grande ex enorme santuario pagano terrazzato dei Veneti antichi orientato alla Costellazione di Orione sito a poca distanza dal tempio di Diana e Apollo che divenne il Santuario dedicato alla Madonna di Monte Berico .

Nel 1702 estratta dall’archivio Mioni -Papadopoli – Wollemborg abbiamo una descrizione breve dell’ Anfiteatro Berico  stilata da parte di Francesco Tomasini  a cui i nobilitati influenti del momento, gelosi per le analisi crono-storiche con cui lo scrittore metteva in dubbio anche la loro nobiltà di discendenza, in Piazza a Vicenza ne ordinarono il rogo. Fra essi copie dei suoi preziosi libri , tra cui testimonianza di esistenza dell’Anfiteatro Berico. 

 Il memorialista   ex  Conservatore dei luoghi  gen.Ettore Malosso l’Anfiteatro di Arcugnano lo cita insieme al suo lago  dell’antico Dio Fons. Il bacino più antico del Nord Italia di cui oggi a 700 anni dalla la cacciata dei Cavalieri Templari che ne amministravano le chiuse, appare ristretto. Già ridottosi spesso a palude bonificata a latifondo per produzione di grano, a vantaggio della Serenissima – Di quello che era il Grande Lago di Vicenza o detto di Longara, sopravvive oggi stabilmente solo l’appendice di Fimon, mentre la parte di quelle acque dedicata al Dio Fons, odierna “Fontega”, essa , malgrado la bonifica fascista misteriosamente scompare e compare durante alcuni periodi dell’anno. Franco M. von Rosenfranz- Il Gianicolo Veneto di Arcugnano /Renato De Paoli : Il Bacino della Fontega ].

Nella Pittura , nel 1500   emerge  la presenza di  questo  ambiente  attraverso elementi interpretati in sede di perizia. Nel merito, nella relazione dell’expertize Maurizio Quartieri su l’Allegoria Sacra  dei Giovanni Bellini 

Nel 1500 Abbiamo la una descrizione del Teatro scritta dell’architetto Palladio, il progettista del tempio dedicato a Giano nele collinetta della Capra , detta villa ” La Rotonda” . Da allievo del Trissino, quale era, iniziato al culto della bellezza greca e alla conoscenza della religione pagana, l’architetto omise approfondimenti anche sul Santuario Pagano di Monte Berico su cui è già presente una Chiesetta a che eppure scorge in navigazione e  da pga allievo del Trissino

   Vi è poi la testimonianza preziosa quella del Templare Adalbert Lorenz . Più indietro  sappiamo  di un passado tra i Bercidi e gli Uganei attraverso il Bacchiglione (Medioacrus )  eda cnhe per il bachiglione possiamo dare un significato Greco della nostra Oiniketia .  . Plinio,  Strabone . 

 L’accademico Olimpico  prof. Mario Andreis classe  1898, autore di oltre 2.000 pubblicazioni  molte delle quali si trovano presso l’Accademia Olimpica. , docente che  dell’Impero conobbe i fasti e le sventure  vista l’anfiteatro delle Querini, Principi Colonna  insieme a  Antonio Fogazzaro, presidente della Fabbrica Reale Pianoforti Rosenfranz- Maltarello  ( descrizione conservata presso il Volkmuseum Wien)  Lo studioso ne attesta la presenza del suo laghetto come le terrazze.  Tale descrizione è anche presente  a Vicenza nell’Archivio delle Accademia Olimpica  ) Lasciti di Mario Andreis, autore di circa  mille pubblicazioni  molte delle quali si trovano presso l’Accademia Olimpica. Con l’avvento del secondo potere mafioso telebano, non limitatosi solo al saccheggio sulla cultura a svantaggio delle storia, e più volte denunziato dagli storici indipendenti, il prof  Andreis visto l’andazzo vicentino  dispose  dopo la sua morte non gli fossero intitolate vie e piazze e che  espressamente le sue opera rimanessero conservate presso i Musei del Vecchio  Impero a Vienna  e un tentativo di recuperare il suo bagaglio, dal Comune di Vicenza  è stato respinto dalla direzione dei Musei Austriaci .

AVVENTO DELLA MAFIA – L’ANFITEATRO NEL DEPISTAGGIO  PAOLO BORSELLINO Con la condanna  dei sommi memorialisti colpevoli di aver citato L’anfiteatro Berico Querini Colonna di Arcugnano, dove presso la sommità  anche con queste manovre continua il depistaggio usato a Paolo Borsellino (  Il denaro è stato qui investito dai Madonia , sembra uno dei suoi Killer così  devastandone il territorio)     è iniziata la cancellazione e delle memoria storiche rimaste presenti per decenni e per altri autori, artisti,  durate centinaia di anni. Questi fatti furrono precedeuti dal rogo doloso dell’ ’archivio  privato Mioni Papadopoli  Wollemborg di proprietà delle Sorelle Mioni a fine  anni 80 nell’avvento del potere mafioso dilagante, edificare su luoghi ritenuti impossibili da costruire violando   le bellezze del passato Dal dopoguerra, continua  da qui la cementificazione  della riviera Euganeo – Berica  Veneta , a partire dalle campagne di Este e sulle sue dolci colline divenute un letamaio a cielo aperto.