2023 OPERAZIONE PIRATI BARBARESCHI Per la prima volta, tutti i retroscena di una operazione in un constesto analogo agli altri rapimenti, svelata dopo i fatidici 30 anni di Segreto di Stato. Codice ISBN: 9798375086880

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Il libro prossimamente in versione EBook

L’OPERAZIONE LIBERAZIONE CELADON-OPERAZIONE PIRATI BARBARESCHI

GENNAIO 27, 2023 / A650265796 / 0 COMMENTI / MODIFICA

Cosa ci fa quel denaro, generosamente prestato dagli Amenduni per pagare il riscatto di Carlo Celadon nel Tribunale di Roma,  dove fra magistrati e cancelliere, con quelle banconote ci si paga perfino il caffè?

Questa inedita vicenda, è una delle operazioni segrete,  più spericolate e coperte della storia d’Italia. Senza il sacrifico del suo protagonista, l’OPERAZIONE PIRATI BARBARESCHI che pose la parola FINE  ai rapimenti non sarebbe stata possibile.

Autori: Salvatore Carrubba e Franco Malosso von Rosenfranz, nome in codice K -626. Narrativa in gran parte autobiografica.   ISBN: 9798375086880

Qui è Franco Malosso von Rosenfranz stesso a raccontare le proprie memorie, con l’aiuto d Salvatore Carubba , in un libro unico, dopo il sequestro Charles Lindbergh regalando il mai rivelato retropalco di uno dei più controversi rapimenti di tutti i tempi .

I  SEQUESTRI Franco Malosso von Rosenfranz fu commilitone del serg.m. Gianni Conti sequestrato, ucciso e gettato nella piscina Ufficiali dell’aeroporto T. Dal Molin mentre era in corso l’operazione coperta di drogatura delle popolazione Italiana Blu Moon e sui quei fatti oggi desecretati dal Pentagono.

 Allorché il suo nome comparve nelle lista di ragazzini da rapire, il padre lo crebbe da perfetto military brat. Spesso dentro le sotterranee  basi segrete missilistiche nucleari. All’adolescente Franco, ciò non impedì di restare vittima di un sequestro breve. Questa fu la scintilla sofferta che al di fuori della sua carriera, lo convinse ad avviare una serie di operazioni coperte in l’intelligence finalizzate a stroncare definitivamente il fenomeno dei rapimenti . Una missione che l’autore pagò a caro prezzo . Uscito indenne da un sanguinoso tentativo di sequestro dovette vivere la sparizione del propio primogenito figlioletto .

Detective per l’intelligence militare, per il collega del padre, il col. CIA – US Army Paul Tate e  sotto l’egida di una nota agenzia investigativa ,R. indagò le stragi in cui furono vittime del Sindacato Ebraico (Cosa nostra) i coniugi “ LaBianca” sui i rapporti fra Joe Adonis e la figlia dell’ Ufficiale, l’attrice Sharon Tate, dopo che durante il suo sequestro la ragazza era stata semi-sventrata del figlioletto in grembo, Paul, primogenito mai nato del regista Roman Polanski.

Conobbe lo spietato meccanismo dei sequestri di persona legati al  potente Cartello Colombiano,  quando questi non puntava più in Sicilia  nè a Milano ma direttamente a conquistare Bruxelles. Di questa  organizzazione Monika Ertl aveva pensato di servirsi per sequestrare Klaus Barbie. Il Boia di Lione, però a sua volta la sequestrò per primo così barbaramente  violentandola ed uccidendola. Durante  il quasi  analogo a  quello Italiano  periodo dei sequestri di persona argentini, da accademico musicale ed esperto in  monitoraggio  dati  voce via satellite,  mise a disposizione il proprio orecchio musicale assoluto a  fianco già  di proprie tecnologia per giungere al riconoscimento del timbro  voce del rapitore di bambini, il  Col Oliviera. Collaborò alla diffusione  della Banca DNA dei bambini rapiti dopo il sequestro del nipote del vicentino marito di Estela Carlotto.  Negli anni 2000  in Riviera Euganeo Berica Rosenfranz sfuggirà  a un ennesimo tentativo  di  sequestro organizzato da Vittorio Mangano quando da Conservatore dei Luoghi, curava l’archivio delle sorelle  benefattrici Mioni-Papadopoli- Wollemborg.

L’OPERAZIONE PIRATI BARBARESCHI Durante il sequestro di un musicista, legato mani e piedi supino e costretto a subire notte e giorno innenarrabile diffusione di “pseudo-musica“, il Molosso accettò infine la proposta per l’intelligence di tre generali. Una segretissima e rischiosissima missione coperta mentre sequestri indisturbati arrivavano a una media di trenta a settimana. Gli stranieri cominciavano allora a disertare  l’Italia ed  alcuni magnati, anche bancari, toccati  dal fenomeno minacciavano  boicottaggi.  LA MISSIONE: Il  Molosso doveva vantare che l’intelligence Italiana  disponesse di  apparecchiature in grado di rintracciare via satellite  qualsiasi ostaggio mediante riconoscimento ipodermico-calore del corpo.  Tecnologia  impossibile per quei tempi. Ci vollero due anni di addestramento affinché K-626 apparisse convincente.

DENARO DEL RISCATTO DI CARLO CELADON RICICLATO IN ALTRETTANTE IMPRESE LEGATE ALL’IMPRENDITORIA VICENTINA Dotandosi  di un adeguato pedigree  giudiziario ideato a pretesto, quello di riportare in Italia  dopo un viaggio rocambolesco, quello preso dall’ oro e l’argento macedone di famiglia trafugato dalle riserve di Pietro di Jugoslavia . All’operazione partecipò il magistrato Fabio Dean, che lasciando la toga, divenne l’ ‘avvocato di Licio Gelli . Per ragioni di opportunità locale spiegate nelle narrativa,  l’operazione fu improvvisamente dirottata sul sequestro dl vicentino Carlo Celadon. allorché si abbe certezza che mazzette di banconote segnate, pagate per il riscatto del ragazzo, oltre inizialmente ricomparivano finanziando attività ed aziende di altri imprenditori vicentini. Grazie al riserbo, coadiuvato anche dal  Follow Money del grande magistrato Giovanni Falcone che in seguito, come per i colleghi che lo precedettero, pagò con la vita il coraggio dedicato a queste indagini coperte da continue secretazioni , lentamente l’operazione giunse al successo. I sequestri cessarono. Questa retro storia contiene quello che di segreto mai fino ad oggi in questa operazione è  stato rivelato. Una storia di indicibili sacrifici, di speranze, di ansia, di attese che non finivano mai. Vicenda in cui denaro e droga intesi come nuova moneta di scambio  sembrano aver appianato tutto. Anche il dolore delle vittime .  

Salvatore Carubba Coautore addetto alla scorte: Qui  nulla è romanzato  .

CHI HA BENEFICIATO DEL DENARO EROGATO DAI RAPIMENTI OGGI COMANDA

Ben si affranca alla vicenda il libro Italia segreta dei sequestri (Newton Compton)scritto dal magistrato  Ferdinando Imposimato.

Un’altra prova magistrale di scrittore e saggista per il Giudice delle Verità scomode, Ferdinando Imposimato, magistrato di spicco, giudice istruttore nei casi più scottanti della storia italiana e presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione; ma anche Grand’Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica e già senatore. Reduce dal successo del volume “I 55 giorni che hanno cambiato la Repubblica, grazie al quale la Procura di Roma ha disposto la riapertura del caso Moro, Imposimato torna protagonista in libreria con L’Italia segreta dei sequestri (Newton Compton), sfoderando ancora una volta l’anima dell’investigatore e la vena del grande narratore, e ricostruendo, con precisione documentale, la storia dei rapimenti in Italia negli anni ’70 e ’80, dal caso Sindona a quello Orlandi. Presentando il libro a Roma, l’ex magistrato ha illustrato i punti salienti della sua ultima fatica letteraria.

Qual è la sua opinione sulla sorte di Emanuela Orlandi?
«Sostengo la tesi della pista bulgara e delle infiltrazioni della Stasi: sta di fatto che nel 1997 Ali Ağca mi invitò nel carcere di Ancona, in cui era detenuto, e mi raccontò una lunga storia. Mi disse che nel carcere di Rebibbia, nel 1983, due sedicenti giudici bulgari lo avevano minacciato di morte. Uno di questi, Jordan Ormankov, si era recato al bar con Ilario Martella, giudice istruttore nell’inchiesta per l’attentato al Papa, e l’altro, Stevan Markov Petkov, ne aveva approfittato per confidargli in lingua turca che entrambi erano agenti del Kgb e che avevano rapito Emanuela Orlandi per ottenere la sua liberazione. Quindi, gli chiesero di “distruggere” il processo e di ritrattare le proprie dichiarazioni, altrimenti avrebbe fatto la stessa fine della ragazza. Gli dissero anche di aver minacciato il giudice Martella».

Che conferme ha ricevuto sulla veridicità di questa versione?
«La conferma giunse da Martella, che non aveva mai parlato prima con nessuno delle minacce subite. Inoltre, potei verificare che i due sedicenti giudici bulgari arrivarono a Roma il 20 giugno 1983 e ripartirono il 24: ossia due giorni prima e due giorni dopo il rapimento Orlandi. Ma non vennero in Italia per incontrare me o Martella, piuttosto si recarono in ambasciata: è un chiaro indizio. Oggi siamo in possesso di tracce sufficienti per spiccare molti mandati di cattura. Ma la maggior parte di queste persone, ahimè, è morta».

Emanuela poteva salvarsi?
«Altre ragazze si salvarono: prima di ripiegare su Emanuela, ad essere pedinate erano state altre cittadine vaticane, già pochi giorni dopo l’attentato al Papa, il 13 maggio 1981. Come ho verificato nei rapporti dei Carabinieri, presentati al processo Orlandi, ad essere sotto osservazione furono le figlie di Angelo Gugel, aiutante di Camera del Papa, che abitavano nello stesso stabile dell’Orlandi; ed anche la moglie e la figlia di Camillo Cibin, capo della vigilanza vaticana. Tuttavia, i servizi segreti francesi informarono Gugel che presto alcuni cittadini vaticani sarebbero stati rapiti. Questi mise in guardia Cibin. Le ragazze furono messe al sicuro. E si ripiegò sulla famiglia Orlandi, all’oscuro di tutto: la pista internazionale è più che evidente».

E Mirella Gregori?
«Il collegamento tra i due rapimenti è certo. Mirella, fotografata pochi giorni prima del sequestro con papa Wojtyla e per questo prescelta, doveva servire a ricattare il presidente Pertini affinché concedesse la grazia ad Ağca. E la mia ipotesi è che, purtroppo, sia stata soppressa».

In questo libro torna a parlare del caso Moro, rinnovando la sua verità.
«Tutto ruota intorno alla questione incredibile della prigione: ancora oggi, a 35 anni di distanza, non si sa ufficialmente dove sia stato tenuto Moro. Com’è noto, fu rapito dalle Brigate Rosse, dopo lo sterminio della scorta. Ma fu condotto in un luogo che non è mai stato indicato. Sennonché, io ebbi la ventura, e anche la sventura, di trovare questo luogo due anni dopo la morte dello statista: in via Montalcino numero 8 interno 1. Non l’avessi mai trovato: questa prigione non doveva essere scoperta; lì si celavano i nomi di coloro che potevano liberare Moro e che furono fermati da un ordine perentorio del Ministero dell’Interno e, come ho scritto decine di volte, di Cossiga ed Andreotti. Anche il generale Dalla Chiesa ricevette l’ordine di non intervenire».

Anche il suo fu un destino tragico.
«Ed è certissimo che egli abbia firmato la propria condanna a morte proprio palesando l’intenzione di liberare Moro. Dalla Chiesa fece un errore gravissimo: rivelò a Mino Pecorelli, giornalista di Op, che il ministro dell’Interno conosceva la prigione di Moro e gli aveva impedito di intervenire. E Pecorelli riportò queste indiscrezioni sulla sua rivista, nominando Dalla Chiesa con lo pseudonimo di Amen. E di lì a poco entrambi morirono. La Corte d’Assise di Perugia condannò in primo grado Giulio Andreotti per l’omicidio Pecorelli, riconoscendo il movente proprio nelle notizie in possesso del giornalista sulla vicenda Moro».

Nel libro parla anche di un nuovo testimone.
«Sì, ho raccolto la testimonianza dell’artificiere Raso, inviato dal Ministero degli Interni in via Caetani, tre ore prima che le Br comunicassero dove si trovava la Renault 4 rossa con il corpo di Moro: evidentemente al Ministero dell’Interno già sapevano tutto. L’8 maggio 2011, insieme ad alcuni amici del Centro Ricerche Aldo Moro di Bari, ho provato a collocare una lapide in via Montalcino. Ma il sindaco ha negato l’autorizzazione. Insomma, questo mistero sopravvive perché le istituzioni non si rassegnano a dire la verità».

Nel libro tratta anche di sequestri non legati alla Politica. Perché il caso Papaldo è emblematico?
«Perché dimostra come spesso da inquirenti e giornalisti vengano formulate ipotesi fantasiose che poi conducono sulla strada degli errori giudiziari. In questa circostanza, a rischiare di farne le spese è stato un Renzo Arbore agli albori della carriera. Infatti, il 22enne Francesco Papaldo era il giovane direttore del locale notturno Francis, di proprietà anche di Arbore. Dopo la sua scomparsa, il pubblico ministero De Nardo fece convergere i sospetti su Arbore, adducendo, sulla scorta dei rapporti dei Carabinieri, che il ragazzo fosse coinvolto in un giro di coca. Questa convinzione e una serie di deduzioni pseudo logiche stavano per portare all’arresto del musicista. Ma, come giudice istruttore, disattesi le richieste del pm e salvai Arbore: evitai così una campagna diffamatoria simile al caso Tortora. Papaldo, infatti, era stato assassinato da un antagonista in amore: una vicenda torbida di passioni e tradimenti».

Perché alcuni sequestrati furono vittime due volte?
«Spesso la persona scomparsa subiva il disprezzo e la calunnia: si sosteneva che fosse fuggita volontariamente con qualcuno, come si disse del magistrato Giuseppe Di Gennaro, scomparso nel 1975. Sulle prime, i giornali scrissero che era scappato con un amante omosessuale; invece era stato rapito dai Nap. Altre volte, si sosteneva la tesi della simulazione di reato per spillare soldi alla famiglia: Renato Filippini, sequestrato per due mesi, una volta liberato fu arrestato con l’accusa di aver inscenato il rapimento».

Lei evidenzia anche un triste destino, comune alle famiglie dei sequestrati. Cosa accadeva?
«Un caso esemplare è il rapimento di Paul Getty III e dell’atteggiamento di totale chiusura del nonno, il famigerato miliardario Paul Getty I, che si rifiutò di pagare il riscatto. Il ragazzo subì l’amputazione dell’orecchio e la sua vita fu completamente sconvolta. Effettivamente, quasi tutti i sequestrati sviluppavano un rancore nei confronti dei familiari, ritenuti responsabili di non aver fatto abbastanza per salvarli o per alleviarne le sofferenze. Così, sistematicamente, si producevano spaccature insanabili all’interno delle famiglie».

È avvincente anche il suo racconto di alcuni capibanda, come Laudavino De Sanctis. Chi era?
«Un feroce bandito, meglio noto con il nome di Lallo lo zoppo. Fu l’unico ad evadere dal carcere di Regina Coeli. Fu autore di una serie incredibile di omicidi e sequestri di persona finiti nel sangue, perché agiva a volto scoperto e, così facendo, era costretto a eliminare l’ostaggio, diventato un testimone scomodo, come nel caso dell’ingegner Ciocchetti. Ma la vicenda più drammatica fu quella di Palombini, il re del caffè di Roma: nonostante gli ottanta anni d’età, riuscì a fuggire miracolosamente dalla roulotte in cui era recluso e, incautamente, bussò ad un uscio nelle vicinanze. Ad aprirgli fu la moglie di uno dei rapitori complici di Lallo. Questi lo uccise e pose il corpo in un congelatore: così, lo tiravano fuori, gli mettevano un paio di occhiali, i giornali in mano, e convincevano i parenti che l’ostaggio fosse ancora vivo, facendosi consegnare il riscatto».

Grazie a lei mutò la strategia per risolvere i casi di sequestro. Come agì?
«Va premesso che dai contatti tra rapitori e familiari, il giudice istruttore veniva escluso: i parenti delle vittime ritenevano opportuno intrattenere delle trattative, senza il coinvolgimento delle forze dell’Ordine. Questa tesi prevaleva anche sui giornali: a loro parere, così si tutelava l’incolumità dell’ostaggio, laddove proprio così la si metteva in pericolo. Roma era diventata la mecca dei sequestratori: imperava il terrore. Allora decisi che, in presenza di un sequestro, si intervenisse militarmente, dando l’ordine di sparare sui rapitori che andavano a ritirare il riscatto. Insomma, a dispetto della tesi dominante, feci valere quello che diceva anche la Legge: il legittimo uso delle armi. Imposi la linea superdura, e da quel momento la situazione cambiò radicalmente: sgominammo molte bande di rapitori, tra cui quella dei Marsigliesi. E così riuscimmo a catturare, anch’io pistola in pugno, questo Lallo lo zoppo, liberando la ragazzina di 11 anni, Mirta Corsetti, che teneva in ostaggio».

Per il rapimento di Michele Sindona, invece, nessun intervento militare.
«Questo fu un caso emblematico: andava stabilito, innanzi tutto, se si trattasse di un vero o di un falso sequestro. La fotografia di Sindona, con una ferita da arma da fuoco all’inguine, emersa durante le indagini, mi indusse ad optare, verosimilmente, per la tesi del sequestro di persona. Non potevo immaginare si trattasse di una simulazione. Ma emisi un mandato di cattura per estorsione nei confronti di alcuni mafiosi che mi consentì di entrare in contatto, in America, con Fbi e Cia e di fornire loro un frammento di carta, rinvenuto presso un mafioso e che riportava l’indicazione di un volo aereo Francoforte-New York. L’Fbi, così, riuscì a risalire al volo, interrogò tutti i passeggeri e scoprì che uno di loro, tale Joseph Bonamico, in realtà era Sindona. Lo confermavano le sue impronte digitali sul documento di sbarco. Era la prova che non era stato rapito: così, fu accusato dell’omicidio Ambrosoli a Milano, del traffico di droga a Palermo dal giudice Falcone, e da me di simulazione di sequestro a scopo di estorsione».

Per poi morire in carcere. Suicidio o omicidio?
«Morì avvelenato con il cianuro, ma secondo la versione ufficiale suicidato. Prima di morire urlò: “Mi hanno ammazzato!”, ma non ho mai visto un suicida che si comporti così. Del resto, seppi in seguito da un dirigente del carcere che fu avvelenato per ordini giunti dall’esterno. Solo dieci giorni prima di morire, aveva ricevuto la visita di un personaggio di grosso calibro affiliato alla P2. La sua fu una storia davvero straordinaria…».

L’Italia segreta dei sequestri

  • Copertina rigida ‏ : ‎ 313 pagine

Intervista  recensita . Autrice Isabella Pascucci .  

Recensione di Lago Franco :

“Date le pressanti minacce di morte ricevute al padre del Carlo Celadon, in una lotta contro lo scarso tempo rimanente, sfruttando un rocambolesco quanto improvvisato piano d’azione, “K-626” [ndr suo nome in codice] tentò il tutto per tutto su un piano che inizialmente non era stato congegnato per il Celadon così conducendo con insperato successo l’operazione ” K 77″ . Entrando personalmente in contatto con i rapitori, riuscì ad apparire credibile nel persuadere il carceriere del ragazzo. Di lì a non molto tempo dopo l’ostaggio fu rilasciato e i sequestri di persona degli imprenditori nascosti in Calabria cessarono .” [da: ” l’Uomo K- 626 “di Lago Franco].

QUESTO FU IL CONTESTO SOCIALE DELSEQUESTRO CELADON. LA SUA ADESIONE, IL SACRIFICIO E IL CONTRIBUTO Erano quelli gli anni in cui lasciando la Sicilia era ritornato in Veneto il controverso politico padovano Graziano Verzotto, l’ex vice in DC dell’on. Bernardo Mattarella. Franco Malosso von Rosenfranz , fatto rientrare precipitosamente dagli Stati Uniti dal padre accettò di lavorare per l’intelligence contribuendo a una missione segretissima che permise il rilascio dell’ostaggio Carlo Celadon vivo, così svolgendo un’ azione coperta in cui egli, esponendosi in prima persona, andò ben oltre a un’ indagine di intelligence .

DURANTE IL RAPIMENTO CARLO CELADON  Inoltre, il suo secondo ingombrante cognome, per quanto si facesse per coprirne le origini, ne rivelava la discendenza a qualcosa di molto simile a un piccolo imperatore ultimo erede del Molosso (Alessandro I° di Macedonia Re d’Epiro, zio di Alessandro Magno, Marito di Cleopatra). Così fu cresciuto fin da ragazzino in un contesto di amici di famiglia, a loro volta di possibili rapiti, sempre convivendo col timore del sequestro di persona italiano. Circostanza che non lo fece esitare quando a Los Angeles in CA nel corso di una ricerca avanzata, senza sosta perfezionò l’applicazione dedicata al riconoscimento ipodermico via SAT così saltando su un provvidenziale carrozzone chiamato Inteligence . La nuova tecnologia poteva dare un grosso contributo a ritrovare gli ostaggi. Malosso si mise subiti al lavoro. A sera da Hong Kong operando a ritmi forzati, incessanti, i tecnici inoltravano i risultati del giorno a quelli in attesa in UK e US e viceversa . Ciò malgrado, nel 1988 la AIDC biometrica rimaneva ancora troppo arretrata fornendo imprecise FRR  e rendendo imprecisa oltre che dispendiosa l’attività di controllo e identificazione attraverso il riconoscimento corporeo satellitare. Nell’impossibilità di portare a termine in tempo l’innovazione tecnologica, nel corso del sequestro Celadon, certo che i sequestratori a cui erano state promesse pene blande non avrebbero rivelato nulla, temendo rappresaglia per la sorte dell’ostaggio, Malosso dotatosi di un “adeguato pedigree giudiziario” ruppe gli indugi e per mantenere ristretta la riservatezza nell’operazione, non esitò a mettere a repentaglio la sua stessa vita pur di salvare l’ostaggio.

In seguito per differenti motivazioni spariva Emanuela Orlandi e ai vertici dei servizi segreti dell’aeronautica militare arriva un dirigente proveniente dal Servizio Segreto Vaticano: Il colonnello Walter Bazzanella.Per primo parlerà di un nucleo K dotato di uomini in grado di assumere diverse identità, uscire ed entrare in un carcere ecc.

E’ un libro che si legge come un romanzo. Franco Molosso von Rosenfranz per la prima volta racconta una parte della sua vita. Ne esce un personaggio tormentato, altruista, eroe suo malgrado. Colpisce e ferisce come sempre la sua autoironia. Una persona intelligente, colta e che si interroga di continuo, rimettendosi sempre in discussione libro da non perdere! [ da L’uomo K-626  di lago Franco].—

Tutti i libri di Franco von Rosenfranz:

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